Articoli - Le grandi questioni globali: cibo ed energia

    di Ugo Sciarretta

Secondo le stime dell' ONU, la popolazione mondiale raggiungerà i 9,1 miliardi di persone nel 2050 e la crescita sarà concentrata soprattutto in Asia, Africa e America Latina.
Per far fronte alla nuova domanda di cibo,la FAO stima che la produzione agricola dovrà aumentare del 70% in 40 anni ma solo il 10% dell'aumento della produzione di cibo potrà venire da un'espansione delle terre coltivabili. Il restante 90% dovrà avere origine dall'intensificazione dei raccolti.
Oggi, una delle sfide più grandi per l'umanità è trovare un equilibrio sostenibile tra la produzione e il consumo di alimenti. L'agricoltura del futuro dovrà essere capace di allontanare lo spettro della fame per una popolazione mondiale in aumento, riducendo al tempo stesso il suo impatto sugli ecosistemi e contribuendo a mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
"Produrre di più, inquinando di meno" è un doppio vincolo che si può sciogliere, a patto di innovare radicalmente il nostro modo di pensare e produrre il cibo. Il nostro ecosistema ci mette però a disposizione spazi e risorse naturali limitati e l’unico modo per misurarsi con questi vincoli, assicurando crescita e sostenibilità, non può che essere la strada dell'innovazione.
Nel mondo gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo in agricoltura sono aumentati da 16 a 23 miliardi di dollari dal 1981 al 2000. Un incremento che è proseguito negli ultimi dieci anni, con i Paesi asiatici in prima linea. Nel 1999 la Cina spendeva lo 0,23% del suo Pil agricolo in ricerca e sviluppo per il settore, oggi sfiora l'1%, qualcosa cioè come 2,6 miliardi di dollari l’anno. Nel 2008 Pechino ha approvato un aumento di bilancio di 584 milioni di dollari l'anno per accelerare la ricerca sugli ogm agricoli. In India la ricerca pubblica nel settore ha potuto godere di finanziamenti per 1,5 miliardi di dollari per cinque anni.
Ma l’innovazione da sola non basta, l’aumento della produzione mondiale di cibo non può prescindere da una rinnovata attenzione verso un fattore strategico quale è la terra. Oggi la terra è al centro di una competizione di tipo nuovo, che nasce dai processi di urbanizzazione, dalla necessità di tutelare il patrimonio forestale, dalla concorrenza delle colture destinate alla produzione di energia. La competizione nell'utilizzo dei suoli ha già avuto come effetto un enorme aumento della domanda di terra. Lo testimonia il fenomeno del landgrabbing, l'acquisizione di superfici coltivabili nei Paesi meno sviluppati da parte di investitori che spesso agiscono su mandato di governi stranieri. Prima del 2008 l'espansione media annua della terra coltivabile era di 4 milioni di ettari l'anno. Tra il 2008 e il 2009 sono state annunciate transazioni per 45 milioni di ettari. Il 70% della domanda ha come target l'Africa.
A questa rincorsa all’acquisto di terreno da coltivare nel mondo si contrappone, purtroppo, una drammatica diminuzione di superfici coltivate all’interno del nostro Paese. Basti pensare che negli ultimi quaranta anni la superficie agricola utilizzata italiana si è ridotta di oltre 4 milioni di ettari, passando da 17 milioni agli attuali 12,7.
Strettamente connesso al tema dell’approvvigionamento alimentare e dello sviluppo sostenibile vi è un altro aspetto cruciale che non va trascurato: l’approvvigionamento energetico.
L’aumento del benessere mondiale e lo sviluppo industriale di grandi e popolose nazioni come la Cina e l’India ha portato all’attenzione il problema dello sfruttamento delle risorse energetiche di questo pianeta ed in particolare dei combustibili fossili. Tra questi, l’attenzione si concentra soprattutto sul petrolio che rimane la fonte energetica mondiale principale, a causa dell’utilizzo sotto forma di suoi derivati nei mezzi di trasporto. E’ ovvio, pertanto, che il soddisfacimento della richiesta energetica mondiale non può oggi prescindere da questa risorsa, più abbondante e maggiormente distribuita all’interno del globo.Tuttavia, lo sfruttamento intensivo e la possibilità di disporne anche in futuro, oltre ai già noti problemi di sostenibilità ambientale, deve indurci a riflettere sulle possibili forme alternative.
L’energia è ai primissimi posti nelle agende internazionali ed è una delle questioni centrali delle politiche economiche dei Paesi, tanto più del nostro, da sempre uno tra i più dipendenti da importazioni energetiche.
In tale contesto, le fonti energetiche rinnovabili sono state indicate da più parti (dal Presidente degli Stati Uniti Obama alla Commissione Europea) come uno dei settori più promettenti per i prossimi anni, un settore su cui scommettere massicciamente in termini di investimenti e posti di lavoro in modo da contribuire, in ultima istanza, alla ripresa della crescita economica.
Il ricorso alle energie “verdi”, le biomasse, l’eolico, il fotovoltaico, l’idroelettrico, ecc., appare ormai un percorso obbligato per far fronte agli effetti negativi sul clima che l’energia di origine fossile produce, ma anche e soprattutto per allentare la dipendenza dall’estero nell’approvvigionamento di fonti energetiche.
L’Italia si è distinta finora per essere molto lontana dagli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra volti alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Obiettivi ormai fissati da tempo dall’Unione europea e che hanno avuto una loro ufficializzazione nel Consiglio europeo del dicembre 2008 dove è stato formalmente sancito un traguardo complessivo di aumento delle rinnovabili al 20% dei consumi finali nel 2020, contro l’attuale 10%, e una riduzione delle emissioni di gas serra del 20% sempre al 2020 rispetto ai livelli del 1990. Per l’Italia l’obiettivo nazionale relativo all’apporto delle energie rinnovabili sul totale è del 17%: si tratta di un target molto difficile da raggiungere e che necessiterà di uno straordinario sforzo da parti di molti settori, anche settori non coinvolti in passato, se non marginalmente, come l’agricoltura, nella produzione di energia.
L’agricoltura può quindi avere un ruolo di primo piano, non solo come fornitrice di biomassa destinata ad impianti industriali (in particolare biocarburanti e biomasse legnose), ma anche come produttrice stessa di energia.
L’esperienza degli impianti di biogas, anche in cogenerazione (ottenuto da reflui zootecnici, da colture energetiche dedicate o da scarti colturali) si sta consolidando, mentre altre modalità (micro-impianti da biomasse legnose, energia solare, eolica, idroelettrica) si stanno affermando grazie ad un progresso tecnologico che sta rendendo remunerativi anche gli impianti di piccola taglia.

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