Articoli - Il lusso e la terra

    di Gianni Bonini

Partiamo dalla relazione di significato tra il latino luxuse la terra, per sbarazzarci subito della presunta incomunicabilità tra i due termini, che nasce da una recente vulgata pauperistica che nonha niente a che vedere con la cultura dei campi, ma che risente invece della doppia disgrazia subitadall’Italia. Un’industrializzazione accelerata che ha straordinariamente accresciuto il PIL, ma cheha messo in un angolo la nostra meravigliosa tradizione agricola più di quanto storicamente abbianofatto le altre rivoluzioni industriali, un costume di derivazione postsessantottina che confonde la vitaeconomica agreste con stili di vita di “ritorno alla terra”, vagamente e banalmente imoerniati su unasorta di socialismo utopico e francescano.
Tralascio la moda, comunque produttiva per il rilanciodelle nostre campagne dopo l’abbandono in massa degli anni ’60, della casa in campagna. Se infatti il vocabolario traduce luxusnel senso di opulenza, il grande Marziale stabilisce in unverso dei suoi Epigrammata – per la precisione 11.8.4 – con un colpo solo l’accoppiamento perfettodi lusso e terra: luxuriosusager= un campo ricco / fertile. E lo fa in un epigramma in cui proprio lafertilità della terra viene citata assieme ad altri preziosi profumi della vita. È la fertilità della terradel resto il valore primo celebrato dalla nostra storia, dal genius loci etrusco-latino che ne sta afondamento e che ritroviamo quale eloquente simbolo femminile di benessere e di pace nell’AraPacis che il Senato dedica ad Ottaviano Augusto nel 13 a. C. e da lui ricordato nelle Res Gestae. La Telluso Saturnia Tellusil famoso – si spera! – bassorilievo che esprime tutta l’opulenza e lafelicitasdi un’poca che vuole chiudere con i tempi oscuri e fratricidi delle guerre civili e riaffermarei valori di pace e prosperità del programma civile e religioso di Augusto.
Pace e fecondità valori di un programma politico eterno reso allora concreto azione da uno dei piùgrandi, a mio avviso il più grande, politici della storia, che si serviva per la propria comunicazionepolitica dell’agenzia etrusco-romana Mecenate e di creativi quali Virgilio e Orazio e di spot quale ilCarmen Saeculare e le Georgiche. I valori dell’agricoltura come attività economica culturale nella vita del nuovo Imperium chediventano fattori di pace, di prosperità economica, di giustizia civile, di vita. Orazio – CarmenSeculare, versi 29-32:“Fertilis frugumpecorisqueTellus spicea donetCererem corona; nutriantfetus et aquaesalubres et Iovisaurae”. “ La terra ricca di biade e di animali incoroni di spighe lacampagna, nutrano i nati suoi l’aria del cielo, le acque vitali”.
Ri-trovata dunque la cornice storico-culturale che legittima il titolo della sessione, questo puòdiventare anche la parola d’ordine di uno spot pubblicitario per lanciare l’agricoltura del XXI secoloin cui il lavoro della terra si configura sempre più nelle dimensioni di un agribusiness capace diriconquistare gradualmente il centro dell’attività economica moderna. Questo perché è ormai accertato che le due grandi sfide del futuro saranno cibo ed energia perl’entrata in scena dei consumi delle grandi masse di donne dell’Asia e dell’Africa che vogliono illoro posto a tavola – giustamente - in relazione anche al ruolo nel PIL mondiale che li vede ormaiprotagonisti assoluti.
Si calcola che di qui al 2050 servirà produrre ogni anno oltre 1 milione di tonnellate di cereali e 233milioni di carni in più rispetto alle attuali performance produttive, con un tasso medio di crescitadell’1,3% per i cereali e del 2,1% per le carni. Il vecchio Marx che sull’analisi tiene testa a tutta la genealogia della filosofia, anche se è moltodifettoso, per non dire fallimentare, nelle soluzioni leggerebbe nei nervosismi che trapelano dallademocrazia economica monopartitica cinese, così la definirebbe un mio antico professore, il lavorodella “vecchia talpa” e la spinta emancipatrice insofferente ormai della camicia di forza confucianocomunista.
Cibo ed energia, un connubio che è tale non solo nella dimensione dei mercati globali, ma lo èanche al livello della nostra agricoltura, irresistibilmente spinta fuori dal circuito dello statusbucolico-elitario del possidente e di quello della mera sussistenza, ambedue puntellati da unapolitica di sussidi e di aiuti destinati a scomparire. Questo il destino ormai segnato dell’UE e delWTO e non serve scavare trincee che sarebbero puntualmente aggirate. Anzi a lasciare spazio adesolati scenari di archeologia agro-industriale, se per tempo non si è investito in un progetto diriorganizzazione che procede per catene agro-alimentari e per attività complementari, che nonvanno identificate solo nella moda agri-turistica, che è solo uno degli sbocchi peraltro molto minori. La Green Economy non è dunque agriturismo, come è sembrato ad un certo punto alla RegioneToscana, con buoni risultati nell’immediato in termini di recupero edilizio e non è poco, ma checomincia già a sentire i morsi di un’offerta sempre meno competitiva sui numeri che contano, ma èuno stile e una visione quotidiana del lavoro agricolo e sottolineo la parola “lavoro” che contiene inse’ tre elementi fondamentali: fatica, competenza, risorse. Tre caratteristiche senza le quali siscivola nell’approssimazione e non è più tempo per dilettanti. Non mi trattengo sulla produzione agricola in quanto tale.
Federico Vecchioni vi fornirà in abbondanza le spiegazioni sulla fine di un modello economico, nellesue trasformazioni e sulle linee guida per fare del tramonto di certo mondo agricolo l’occasione diun rilancio alla grande dell’agricoltura italiana. Mi soffermerò, brevemente, solo sul settoredell’energia premettendo però doverosamente che la battaglia quotidiana per affermare una politicaenergetica di sostegno alla micro generazione diffusa non esisterebbe senza Federico Vecchioni,senza la sua testardaggine quotidiana.
La politica , lo sappiamo, ha bisogno di menotrovate estemporanee e di più disegni organici per lo sviluppo. Massimo Mucchetti sul Corrieredella Sera in controtendenza rispetto alla pubblicistica generale sull’art. 45 dellaFinanziaria 2011, relativo all’abolizione dell’obbligo di ritiro dei certificati verdi in eccesso sul mercatoed alla tempesta che questo provvedimento sta creando tra gli operatori delle “rinnovabili”, ironizzasulla “green economy” in salsa di pomodoro in particolare sul fotovoltaico che costerebbe alconsumatore medio di energia tra il 2011 e il 2020 una tassa di circa 50 miliardi di euro regalandoci“una pletora di impianti insufficienti ed eterni”. Ad essi contrappone il nucleare e una nuovadisciplina contrattuale del gas naturale. Non mi provo a contestare Mucchetti ne i suoi dati sostanzialmente corretti. La questione è un’altra e non c’entrano gli americani, i tedeschi e nemmeno i cinesi che hanno investito per tempo neipannelli e negli inverter. Semmai dovrebbe rifarsela con chi sabotò Felice Ippolito e il nucleareitaliano nei primi anni ’60, che già nell’88 era troppo tardi e quel referendum sanzionò il sensocomune allevato dalla maggior parte della cultura del ’68 riconvertitasi in “ambientalista” prima didiventare anche “giustizialista”. Per quanto ci riguarda noi riteniamo che la “green economy” e con essa le agro-energie –fotovoltaico e mini eolico, ma soprattutto le biomasse – vadano sostenute con un sistema diincentivi tariffari calibrato ed organico, meno precario e più certo di quanto lo si stato finora. E lastoria dell’art.45 della Legge Finanziaria 2011 ne è l’esempio lampante.
Noi che abbiamo costruitoe lanciato il progetto agro-industriale di Terrae – ex Finbieticola, di cui la mia società Agrisviluppoè il braccio armato nel settore delle agro energie appunto, crediamo in questa politica e con noistanno investendo centinaia di agricoltori consapevoli che l’agricoltura italiana può uscire rafforzatadalla ristrutturazione globale, se si diversifica la produzione anche con l’energia attraverso ilriciclaggio degli scarti e del surplus agricolo, riorganizzando le aziende in modo da tenere anche inpresenza della volatilità dei mercati. In modo da fare dell’azienda agricola che unisce produzioneagricola ed energia un modello del nuovo Made in Italy, che relaziona la qualità del prodotto con ilmercato superando la dimensione di “nicchia” e tutta la retorica che l’accompagna, che, purtroppo,non da’ reddito!
Questo significa in sintesi investire nelle cosiddette agro energie, cioè nell’energiada fonti rinnovabili su fondi agricoli. Certamente non siamo al riparo da speculazioni, che portanoanche nomi rispettabili, né crediamo che, nonostante i costi pubblici che vanno parametrati al costodelle infrastrutture che va scendendo, questa scelta sia di ostacolo al nucleare. Tutt’altro anche sesiamo chiamati, come italiani, a scelte difficili comunque per una nazione priva di risorseenergetiche come la nostra. Storicamente, comunque soprattutto nel secondo dopoguerra fino adoggi, non ce la siamo cavata poi così male. È che oggi molti margini si sono bruciati e gli stessipaesi produttori su cui abbiamo fatto sponda in particolare nel Mediterraneo, hanno una presenzasui mercati energetici meno bisognosa del nostro sostegno. Noi ci proveremo.

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